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DA BILL 09: BERNBACH VS LE FORMULE MAGICHE
Bill

Su Bill 09 c’è un’incredibile intervista del 1965 concessa da Bernbach a Denis Higgins per Advertising Age. Incredibile per la chiarezza e l’attualità di quello che dice, certo. Ma anche per via di un duello molto divertente tra Bill e il giornalista, il quale cerca a più riprese di cavare qualche metodo “generale” da applicare al talento. Indovinate chi vince. Qui qualche estratto, il resto è su Bill 09.

Quello che vorrei chiederle è: che cosa le ha fatto capire che voleva entrare nel mondo della scrittura?

Beh, penso che la domanda sia troppo specifica. Non penso che tutto sia misurabile in base a decisioni precise e razionali del tipo “un giorno all’improvviso stavo entrando nel mondo dell’advertising…” Non lo so come è successo. È avvenuto gradualmente. Ero interessato alla scrittura, all’arte e così, quando si presentò l’occasione di sfruttare queste mie passioni nel campo pubblicitario, semplicemente colsi l’occasione. Appena prima di entrare in un’agenzia pubblicitaria, ho lavorato per l’Esposizione Universale di New York.

Pensa che sia più difficile scrivere un testo pubblicitario o testi con un altro tipo di contenuto?

No. Penso richieda una disciplina, una conoscenza dell’advertising. Bisogna avere ben presente l’obiettivo che si cerca di raggiungere. Imparare come raggiungerlo viene dopo. Penso che la prima e più importante cosa da fare sia essere innovativi e originali. Sapeva che l’85% delle campagne pubblicitarie non vengono nemmeno guardate? Questa è una statistica rilevata dall’Harvard Business School per conto del mondo pubblicitario per cercare di scoprire cosa pensano le persone dell’advertising. Ci siamo chiesti se i pubblicitari e le agenzie fossero amati dagli americani. Non eravamo nemmeno odiati, anzi siamo semplicemente ignorati. Quindi la cosa più importante, oltre all’essere innovativi e originali, è riuscire a competere con tutte le notizie impressionati che oggi arrivano da ogni parte del mondo con tutta la violenza possibile. Un annuncio pubblicitario può avere tutte le carte in regola per essere vincente, ma se nessuno si ferma per ascoltare o leggere quello che ha da dire una determinata campagna, allora è tutto sprecato. In America si spendono tantissimi soldi per diventare efficienti, per misurare gli eventi, ma allo stesso tempo siamo riusciti ad annoiare come non era mai successo prima. Facciamo tutto alla perfezione, ma nessuno ci fa caso.

Tornando al copywriting. Lei dice di preferire che arrivino da tutti gli ambiti. Ma che tipo di scrittori cerca esattamente?

In realtà non cerco degli esperti nel nostro lavoro…

Mi consenta di riformulare la domanda. Nel corso degli anni, numerosi copywriter hanno lavorato per lei. E’ alla ricerca di persone con doti particolari, più talentuosi o creativi?

Penso di aver già affrontato il problema, ora le ripeterò come la penso. Dalla sua domanda si intuisce che lei è alla ricerca di una formula per del buon scrittore. Questo è pericoloso perché si va a incoraggiare gli scrittori più scadenti. Aiuta le persone a diventare quello che non dovrebbero essere. Ricordo vecchie interviste del Times nelle quali il giornalista chiede allo scrittore di romanzi o racconti “A che ora si sveglia la mattina? Cosa mangia per colazione? A che ora inizia a lavorare? Quando finisce?”. Tutto questo ragionamento implicito indicava che se mangi i cereali alle 6:30 di mattina, poi fai una passeggiata, schiacci un pisolino e successivamente inizi a lavorare per poi concludere a mezzogiorno, allora avrai la possibilità di diventare un grande scrittore. Non si può essere così matematicamente precisi. Non si può pretendere di misurare tutto alla perfezione. È questo uno dei problemi della pubblicità odierna. Questo porta al culto della ricerca di mercato. Siamo tutti interessati alla raccolta dei dati ma non siamo altrettanto interessati a rendere questi numeri interessanti per i consumatori.
In pubblicità ci sono numerosi copywriter però, forse non così validi, ma che vorrebbero comunque migliorare.

Ciò che le chiedo non sono formule teoriche per diventare un buon copywriter; ma vorrei sapere da lei, veterano in questo settore, cosa si può fare per migliorare le proprie capacità professionali.

Ovviamente mi piacerebbe dare loro una semplice equazione da applicare, ma non è possibile. Ciò che devono fare è continuare a lavorare, riflettere e svolgere il loro lavoro con la massima onestà continuando a esercitarsi. So che sembrano banalità, ma dire di più sarebbe una truffa.

Ho chiesto ad altri quali fonti esterne utilizzano, quali interessi coltivano, cosa leggono per avere idee sempre nuove. Lei cosa risponde?

Beh, leggo moltissimo, se è questo che intende.

Cosa di preciso?

M’interesso molto di filosofia e narrativa. Tutto ciò che si fa, lo si fa per portare acqua al proprio mulino. Ne sono sicuro – l’avrà sperimentato e vissuto sicuramente – che quante più cose interessanti si mettono in un testo, tanto più lo si può rendere rilevante.

Quanto scrive adesso? Scrive spesso?

Purtroppo oggi non scrivo più body copy. Però revisiono quasi tutto ciò che viene prodotto in agenzia. E studio ancora headlines per le campagne. Mi consenta di sottolineare una questione importante: c’è un antico detto – non è mio ma sottoscrivo pienamente – si scrive meglio quando si ha qualcosa su cui scrivere. E, se mi è concesso dare un consiglio, bisognerà conoscere bene a fondo il prodotto prima di iniziare a lavorare. La tua bravura, la tua capacità di provocazione, di immaginazione e di inventiva devono scaturire dalla conoscenza del prodotto. A parer mio, la cosa peggiore che succede oggi è che si fanno molti giochi di prestigio con la grafica – non è difficile per nessuno trovare delle idee – è importante però riconoscere quando l’idea è buona. Bisogna avere inventiva, immaginazione, ma c’è bisogno di disciplina. Tutto ciò che viene scritto, tutto ciò che si trova nella pagina, ogni parola, ogni simbolo grafico, ogni segno deve far sì che il messaggio da trasmettere venga rafforzato. Come lei sa, si misura il successo di un lavoro artistico in base alla sua capacità di raggiungere un determinato scopo. Chi lavora in pubblicità senza ammettere che lo scopo finale è la vendita di un determinato prodotto è un impostore. Inoltre bisogna essere semplici il più possibile, rapidi e penetranti; bisogna sempre partire dalla conoscenza del prodotto relazionando questa conoscenza con i bisogni dei consumatori. Non sto dicendo che per avere immaginazione basti guardarsi attorno ed essere interessanti. Ho fatto molte volte l’esempio di una pubblicità mettendo un uomo a testa in giù attirando così il pubblico. Questo non fa un buon annuncio, a meno che non si stia vendendo un prodotto che impedisca agli oggetti di cadere dalle tasche. Allora in questo caso l’attrattività mette in risalto e rende memorabile il vantaggio del prodotto. Se le cose non si fanno in questo modo, per prima cosa non si avranno attratto clienti, e successivamente si saranno sprecati molti soldi, qualunque sia stato il messaggio dell’annuncio. Se non ci si collega con il prodotto, si crea un risentimento perché le persone si sentiranno ingannate. Ciò che si deve fare è attrarre le persone per vendergli il prodotto. E questo è difficile, faticoso, ma funziona.

Vorrei chiederle brevemente qualcosa riguardo le sue abitudini…

(risata)

Perché sta ridendo?

Rido perché mi chiede ancora delle abitudini, come se queste fossero la risposta, la formula magica.

No, non è la risposta, ho capito che non c’è una formula.

Ho quasi 100 copy qui attorno e dubito che due di loro abbiano le stesse abitudini. E ne hanno di terribili.

(…)

Il resto è su Bill 09.

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