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DA BILL 10: GRILLO AL TEMPO DI YOMO
Giuseppe Mazza

Su Bill 10 Dario Diaz ci ha raccontato la celebre campagna del 1986 che vide Beppe Grillo come testimonial e lui come creativo. Qui potete leggere un estratto dall’intervista. Il resto è in libreria.

Dario, partiamo dall’inizio. Fu una vostra idea, Grillo come testimonial.

Alla metà degli anni  80 Yomo era leader di mercato con una percentuale molto elevata, ma fino a quel momento la concorrenza era stata esigua. Del resto si deve a Yomo l’apertura del mercato dello yogurt in Italia e fino a quel momento Yomo era sinonimo di yogurt per il consumatore italiano. Ma a un certo punto, a mercato aperto e a consumi di yogurt sempre in crescita, grazie a Yomo, i concorrenti cominciarono a farsi sentire. Primo fra tutti Danone, con tutto il suo peso di multinazionale.

A quel punto in Yomo le strategie di marketing dovevano cambiare. Non bastava più esaltare i poteri salutistici dello yogurt per vendere Yomo – fino ad allora marca incontrastata del mercato – ma bisognava dare risalto al brand Yomo per difendersi dalla concorrenza delle altre marche. L’agenzia di pubblicità dove il tutto si svolse era la J.Walter Thompson, i responsabili creativi eravamo io, Dario Diaz (a quei tempi uno dei due direttori creativi dell’agenzia) come copy, Gianpiero Vinti come art, Giuseppe Monfrini e Emanuele Gabardi come account e Anna Scotti presidente e coordinatore creativo dell’agenzia, che ci seguiva da vicino.

Studiammo due proposte creative. La prima molto istituzionale, del tipo Barilla si potrebbe dire, che narrava la storia di un bambino e della sua famiglia vista attraverso gli occhi del bambino, in una campagna multi soggetto. L’altra con testimonial. Ricordo che i testimonial dovevano essere addirittura due con storie separate uno dall’altro (ci sembrava una cosa assolutamente innovativa, anche se non avevamo ancora ben precisato come condurla), i loro nomi erano Beppe Grillo e Roberto Benigni, allora astro già splendente della comicità italiana.

(…)

La campagna inizia nell’86: nel novembre di quell’anno ci fu il famoso scandalo della battuta sui socialisti e l’allontanamento di Grillo dalla RAI. Come ricordi quella fase?

Ricordo che fu come se niente fosse accaduto, almeno per Yomo e non sembrava che Grillo fosse particolarmente preoccupato, anzi direi proprio di no. Io, nel mio cinismo (si fa per dire), ho pensato che il nostro testimonial si sarebbe impegnato ancor di più, perché quella della pubblicità sarebbe stata la sua unica presenza televisiva in RAI. Del resto, cosa si poteva temere? Quella sua battuta contro i socialisti di Craxi non l’aveva certo reso impopolare, anzi. Il fatto invece che mise a repentaglio la campagna fu il disastro di Chernobyl della fine aprile del 1986, con gli spot appena andati in onda. Fu un disastro epocale, almeno da come venne presentato dai media, che toccò tutta Europa. C’era ansia e panico per questa nuvola radioattiva che volava sopra di noi posando a terra i suoi veleni e quindi intaccando l’erba nutrimento delle mucche, dalle quali mucche veniva il latte, con il quale latte si faceva lo yogurt, il quale yogurt nel nostro caso si chiamava Yomo, il quale Yomo faceva con Beppe Grillo una pubblicità molto allegra e spensierata.
Ma con Chernobyl a ronzarci sopra, era il caso di fare una pubblicità spiritosa?
In un momento in cui la gente non comprava più prodotti freschi, tra cui il latte, yogurt, verdura… era davvero il caso di far finta di niente? Il capo della JWT, Ezio Ciuti, pensava che non fosse il caso e suggerì di sospendere la campagna. Il cliente ci pensò su e disse no, andiamo avanti. E così fu.

(…)

La “Pubblicità telepatica” è oggi un classico. Visto ora quel commercial sembra aver intuito una certa tendenza messianica del personaggio…

Quella mattina si doveva girare un’altra storia, ma lui, arrivato sul set disse che aveva un’idea stupenda. La raccontò e subito cominciammo a girare. Il merito me lo sono preso io, ma l’idea era sua. In questo spot c’è il riferimento storico della persuasione occulta di vecchia memoria trattata però con tutta l’ironia possibile. Comunque in tutti i suoi spettacoli, se ci pensate è come sostenevo prima, la sua posizione in scena e il suo rapporto con il pubblico è sempre stata quella del profeta. Dirò che un profeta può diventare indifferentemente Messia o ciarlatano, ma questo dipende più dai tempi della storia in cui appare, che dalla reale qualità del profeta. Il segreto è il profeta giusto al momento giusto. Di fatto la storia questa verità ce l’ha insegnato molto bene.

(…)

La campagna vinse un Leone d’oro a Cannes. Cosa puoi dirci di quell’esperienza? Come la visse Grillo?

La campagna Yomo vinse moltissimi premi, non solo per i film con Grillo che vinse anche all’ADCI, all’ANIPA, Pubblicità e Successo, Eurobest e altri. Ma Yomo vinse l’oro anche per la categoria affissioni all’ADCI, bronzo per la stampa quotidiana, bronzo per la stampa di categoria, insomma una caterva di premi al di la di Grillo. Ma a Grillo di Cannes non gliene fregava niente. Mentre era piuttosto contento di aver vinto il Telegatto per la pubblicità. Beh, vincere il Leone d’oro a Cannes è una soddisfazione e una gioia unica per un creativo, mi sembra ovvio. Cannes è il concorso più importante del mondo per quanto riguarda la pubblicità e io ho avuto la fortuna di vincere anche un bronzo per Kodak e di avere negli anni ben 8 film in short list. Naturalmente questo lo dico per vanità, dato che con la campagna Yomo non c’entra nulla.

Fu un vero e proprio serial, durò due anni. Cosa portò alla sua conclusione?

Bisognava tornare a parlare di prodotto, anche perché in Yomo erano nati, e stavano nascendo, nuovi prodotti. La campagna con Grillo aveva felicemente portato a termine il compito che gli avevamo assegnato. Ora il prodotto doveva tornare protagonista.

Quell’anno Grillo tornò in tv a Sanremo. Grazie alla campagna non era mai andato via…

Infatti. Credo proprio che l’essere stato protagonista di una pubblicità fatta su misura per lui non abbia potuto fare che bene al comico Grillo. La gente aspettava i nuovi spot di Yomo proprio come fosse un serial. Forse per la prima volta la pubblicità era diventata più appetibile del classico intrattenimento televisivo. E non dimentichiamo che negli anni 80 la pubblicità televisiva era di un’invadenza strabordante, tanto che lo spettatore se ne sentiva soffocato. Era di quel periodo mi pare il referendum che chiedeva meno pubblicità all’interno dei film, con il claim “non si interrompe un’emozione”. Naturalmente le emozioni continuarono a essere interrotte.

Il resto è su Bill 10.

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