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DA BILL 06: ELEZIONI E PUBBLICITÀ
Enzo Monzino e Giuseppe Mazza

Sul nuovo Bill trovate un bel reportage di Enzo Monzino sui manifesti politici contemporanei italiani. E trovate anche un pezzo di Giuseppe Mazza a commento. Qui c’è un assaggio di entrambi. Il resto è su Bill 06.

Se si vuole capire cosa succede a una nazione, non si può fare a meno di osservarne la pubblicità. L’abbiamo scritto sul primo numero di Bill, citando Norman Douglas, lo riscriviamo all’indomani delle elezioni, dal momento che anche in materia politica la pubblicità italiana si è pronunciata da tempo.

Prendiamo una delle caratteristiche più tipiche della nostra democrazia: la proliferazione dei cosiddetti partiti personali, quelli nati cioè intorno a singoli personaggi. Lo si è detto, soltanto in Italia sono così numerosi. Bastava guardare la quantità di cognomi sulla scheda elettorale 2013: il partito di Monti, di Grillo, di Ingroia, di Berlusconi, di Giannino, e prima ancora quelli di Di Pietro, di Fini, di Lamberto Dini, di Leoluca Orlando… Non organizzazioni che scelgono di volta in volta il proprio leader ma movimenti nuovi, raggruppatisi intorno a un solitario artefice.

E cosa c’entra la pubblicità con questa storia? A prima vista dovremmo stare dalle parti del retaggio genetico italiano: la ricerca di uomini forti, di scorciatoie carismatiche, ecc. Ben oltre il copyright nostrano del fascismo novecentesco, questo tic tradisce però la nostra eterna fuga dal progetto, dal metodo, dalla costruzione graduale. E racconta degli italiani il culto dell’intuizione improvvisa, che al fondo considera la democrazia un iter per mediocri, contrapponendole dei geniali risolutori in grado di prendere in mano la situazione. Ci penseranno loro a sbrogliarla in fretta.

Ora, se si guarda alla pubblicità italiana, si ritrovano le stesse caratteristiche, ma sotto forma di ricorso sistematico al testimonial. Un fenomeno che nella nostra réclame ha proporzioni peculiari: tra i grandi paesi occidentali, infatti, solo nel nostro i volti celebri vengono considerati tanto indispensabili. Nessun paese vi fa ricorso quanto noi. Qualunque pubblicitario all’estero può lavorare per anni senza mai avere a che fare con un testimonial. In Italia è un’esperienza inevitabile. Fin dai protocommercial del Carosello, i volti celebri ricorrono nella quasi totalità dei marchi nazionali. Telefonia, automobili, sport, cibi di ogni tipo, divani, detersivi, persino cartucce per stampanti, per non parlare delle cause sociali; non c’è tema che sfugga alla loro presenza. C’è di che far impallidire il timido drappello di star hollywoodiane arruolate dai marchi fashion.

Eppure, non è neanche la quantità dei nostri testimonial a renderci un’eccezione. È il modo che abbiamo di usarli. Definiamolo un uso purchessia. Ovvero: in sostituzione delle idee, senza nesso con il prodotto.

Il resto è su Bill 06.

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