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DA BILL 08: BOGUSKY IERI
Francesco Simonetti

Su Bill 08 c’è un ricco speciale dedicato ad Alex Bogusky, grande protagonista della scena creativa negli ultimi vent’anni. Per ricostruirne l’inizio della carriera, Francesco Simonetti ha intervistato Paul Stechschulte, ex Crispin Porter + Bogusky, oggi ECD Arnold Amsterdam. Ecco un estratto dall’articolo. Il resto è su Bill 08.

Non era affatto glamour Miami nel 1999, di sicuro non lo era la Crispin Porter Bogusky quando ci arrivò Paul Stechschulte, quell’anno. Il building dell’agenzia era un brutto palazzetto di tre piani su Bay Shore Drive, e se la sala riunioni all’ultimo piano regalava una piacevole vista-oceano, l’ascensore per arrivarci ingombrava gran parte dell’edificio. Lo spazio interno era così mortificato – impressione aggravata dai rivestimenti finto marmo – che per tutti quelli che ci lavoravano la CP+B era affettuosamente “the dentist shop”. Eppure grazie allo “studio odotoiatrico”, Miami divenne nel giro di 5-6 anni la capitale mondiale dell’advertising più originale e innovativo. Una rivoluzione senza precedenti dai tempi di Bill Bernbach, vuoi per la grande la grande capacità di visione e carisma di Alex Bogusky, vuoi perché la sua prematura uscita dalla industry – anche questa scelta anticipatrice dei tempi – ne ha accresciuto ulteriormente il mito. Oggi buona parte dei fondamentali della pubblicità, come l’idea di earned media – la pubblicità non è più quella che compra spazi dai media, ma quella che ne ottiene gratis facendo parlare di sé – era già pratica corrente della prima CP+B. Qui dal 1999 fino al 2005, prima  del trasloco a Boulder Colorado, ha lavorato appunto Paul Stechschulte, all’epoca art director delle storiche campagne Truth, Ikea, Mini e oggi ECD di Arnold Amsterdam.

Com’era Alex Bogusky quando si sono incrociate le vostre strade?

Il primo ricordo che ho di Alex è quello di un uomo giovane, energetico, talentuoso e con lo sguardo aperto e puro di un bambino. Era Alex Bogusky senza ancora essere diventato Alex Bogusky. Ero predestinato a lavorarci insieme perché avevamo la stessa passione per gli sport: a Seattle, dove facevo l’art director, mi occupavo di clienti come Diadora, K2 (sci & snowboard), Giant (biciclette), mentre i clienti di Alex a quel tempo erano: Bell e Gyro (caschi) e GT ( biciclette ). Quando gli ho mandato il mio portfolio, mi ha subito invitato a Miami per un colloquio. Alex era stato nominato da un anno executive creative director e partner dell’agenzia. I suoi genitori erano entrambi graphic designer, il padre aveva creato un design shop con lo zio, mi sembra si chiamasse Bogusky Brothers. Dopo che Sam Crispin fondò l’agenzia, si unì Chuck Porter come partner, poi Chuck chiamò i genitori di Alex a collaborare e in seguito lo stesso Alex. Ma Miami prima della CP+B era una città pubblicitariamente sonnolenta: gli unici clienti erano quelli regionali, in pratica solo crociere e occhiali da sole.

Come sono stati gli inizi di CP+B ?

Il clima e l’atmosfera ti facevano pensare di essere ritornato sui banchi dell’art school! C’era tantissima energia e voglia di fare, tutti lavoravamo come pazzi, ma ci si dava una mano uno con l’altro. La magia di quei primi tempi era l’equilibrio perfetto tra competizione e collaborazione. Eravamo 60-80 persone circa, io lavoravo in coppia con il copywriter Ari Merkin, che veniva da una piccola sigla molto creativa di New York. Se un cliente ci chiedeva una presentazione, Alex si presentava con almeno 7 campagne stampa diverse, tutte perfettamente declinate, finite ed seguite perché avevamo la possibilità di collaborare con molti fotografi locali. Miami è famosa per il clima e ha solo due stagioni: “la model season” quando la città è in piena ondata di shooting e la “non-model season” quando i fotografi sono più disponibili a darti una mano. Insomma nessuno stava seduto sugli award, che erano ancora pochi, e tutti ci davamo dentro.

Quale fu la campagna che fece fare il salto alla CP+B?

La campagna della svolta è stata Truth perché dopo fummo invitati a gare importanti, come Mini, portando nuovi budget e un rapido successo, perché alla fine erano i clienti che venivano a cercarci. Ma Truth rappresenta anche la quintessenza di Alex Bogusky: il ribelle. Molti lo hanno accusato, dopo che ha lasciato la pubblicità per lavorare con Al Gore e dedicarsi a progetti sociali, di aver rinnegato il passato. Ma non è vero: Alex è sempre stato un ribelle, e la campagna Truth – che ha sbugiardato le multinazionali del tabacco – ne è la dimostrazione. Tutta l’operazione Truth è nata da un ricorso dello Stato della Florida contro le grandi multinazionali del tabacco. In Florida risiedono molti anziani e l’indice di mortalità per cancro ai polmoni era così alto da spingere lo stato a un’azione di risarcimento contro i big delle sigarette. Dopo che lo stato della Florida riuscì ad aggiudicarsi il primo round nei tribunali, anche la California, il Massachusetts e il Michigan seguirono l’esempio citando in tribunale le compagnie del tabacco. Ma prima che tutti i 50 stati americani gli facessero causa le big del tabacco proposero un accordo per un risarcimento a livello nazionale: 60 milioni di dollari, se non sbaglio. Quei soldi, divennero il budget per la campagna Truth e furono affidati allo stato della Florida, ma trattandosi di un budget al livello nazionale CP+B si alleò con la Arnold di Boston per gestirlo. Nacque così “Body Bag”, un film che era anche uno stunt, un ambient e una guerrilla, un’operazione di marketing e PR mescolate insieme. Perché al momento delle riprese chiamammo notiziari tv e giornali a raccontare l’accaduto. Nel giro di pochi minuti 1200 “body bag” che rappresentavano gli altrettanti fumatori che ogni giorno muoiono di cancro, venivano depositati sotto le finestre dei grattacieli delle big del tabacco, prima che gli addetti alla sicurezza intervenissero a fermarci. Non potevamo fare molti ciak perché l’evento era tutto in diretta…

Il resto è su Bill 08.

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