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DA BILL 12: UNDERSTANDING MCLUHAN
Howard Gossage

È il 1966, e il grande Howard Gossage prende carta e penna per spiegare al mondo il vero significato del pensiero di McLuhan. Che analizza molto da vicino. Cominciando dal titolo che dà all’articolo, parafrasi di una delle più celebri opere dello studioso canadese, “Understanding Media”. Traduce Andrea Fontanot.

Negli ultimi mesi Marshall McLuhan, dell’Università di Toronto, è diventato il fenomeno dei nostri tempi, la celebrità intellettuale. Questo per dire che improvvisamente tutti quanti – stampa, il mondo del business più evoluto, i nuovi giovani – l’hanno scoperto nella curiosa maniera in cui di solito accadono questo tipo di cose: in un determinato momento tutti gli elementi diventano attuali, ed ecco fatto. Peraltro, dopo diversi anni di relativa anonimità in cui ha insegnato, ha pubblicato copiosamente e, in stragrande maggioranza, ricevendo critiche estremamente positive. È stato riconosciuto come pari, anche se controvoglia, dai suoi colleghi delle università più illustri. (A una conferenza accademica di alto livello sulle comunicazioni di massa a Washington riferimenti alle teorie di McLuhan incontravano quel tipo di non considerazione normalmente riservata a sgradevoli rumori in una cappella. Questo solo un anno fa; le cose ora sono cambiate.)

media

Cos’è successo? Ovviamente il clamore ha seguito la pubblicazione del suo ultimo, e probabilmente il più leggibile, libro, Understanding Media: le Estensioni dell’Uomo. Ma questa è una risposta parziale nella migliore delle ipotesi, perché il libro è uscito nel 1964 e, fino a poco tempo fa, era quasi introvabile nelle librerie […]. Questo ci suggerisce che almeno parte dell’attualità di McLuhan al momento è costituita da citazioni imparaticce o semplicemente dal fatto che è una “celebrità”: qualcuno famoso perché è famoso. La prima ipotesi è comprensibile: quanti di noi leggono realmente i Grandi Libri? La seconda è deprecabile, non solo perché tale fama passa tanto rapidamente quanto è arrivata, ma anche perché tende, con la sovraesposizione, a cristallizzare un uomo, a incastonarlo, come una mosca nell’ambra, così che sia visto ma non udito. Questo accade molto facilmente, e capita a uomini che hanno ancora tanto da dire. Partiamo da quello che McLuhan ha già detto.

Understanding “Understanding Media

Understanding Media di Marshall McLuhan è forse il titolo meno attraente di un libro importante da Principia Mathematica; tuttavia, è in qualche modo più facile da leggere quando cominciate ad avere un’idea di dove vuole arrivare. In realtà, la parte più dura è entrarci. Una scuola di pensiero sostiene che dovreste cominciare a pagina 77, o in qualunque altro punto, e poi riprenderlo dall’inizio nel modo in cui si fa quando si entra al cinema a metà del film. Un’altra pretende che si legga velocemente interamente una volta, risparmiandovi le mirabolanti (o indignanti) notazioni marginali per la seconda volta. Il problema è che leggere McLuhan in questo modo è come tentare di riempire una tazza con un idrante; probabile che non ci sia la seconda volta.

È comunque possibile, credo, cominciare allegramente dall’inizio, a condizione che si abbia una buona dose di chiarezza sull’universo tipico mcluhaniano. Tanto per iniziare, quello che il professor McLuhan vuole significare con il termine medium è qualunque estensione umana – che sia un libro, un’automobile, una lampadina, la TV, o i vestiti. La sua teoria è che i media che un uomo usa per estendere i suoi sensi e le sue facoltà determineranno quello che è, piuttosto che il contrario. Per fare un esempio: un’auto è certamente un’estensione delle nostre gambe. Inoltre, quando guidiamo, in un certo senso, abbiamo le gambe amputate. L’uomo è amputato nello stesso modo in cui avesse dapprima perso le gambe e poi cercato un modo per muoversi. Allo stesso modo, indossando dei vestiti un uomo elimina diverse delle funzioni che il suo corpo avrebbe svolto da nudo. Consideriamo il concetto nella sua forma più estrema: un indigeno che vive all’Equatore e un eschimese. L’indigeno tropicale, poiché è nudo, non ha modo di mantenere il calore del corpo; quindi deve costantemente mangiare pena la morte. Può morire di fame in un giorno o due. L’eschimese, pesantemente impellicciato, mantiene il corpo caldo e può restare senza cibo per settimane se necessario. Questo non vuole, ovviamente, suggerire che gli Indios dell’Amazzonia Settentrionale starebbero meglio con mutandoni lunghi di lana o cappotti di pelliccia, o che gli eschimesi sarebbero migliori clienti di un supermarket se corressero in giro come mamma li ha fatti, ma che i media che una società utilizza o è costretta a usare determinano che cos’è e come si comporta.

Accidentalmente, siamo soliti pensare ai vestiti come qualcosa che indossiamo sopra i nostri corpi. Oggettivamente, tuttavia, i vestiti sono un’estensione della pelle. Per le tribù in cui si usa vivere nudi, la giungla sono i vestiti. Quando qualcuno di noi se ne va in giro nudo in una stanza riscaldata, la stanza stessa è vestito, estensione della pelle, un medium. Se ricordate, ho sostenuto prima che i media tendono ad amputare la funzione che estendono. Potete testare questa idea facilmente entrando in una casa calda in una fredda giornata. La prima cosa che fate è togliervi il cappotto. Per portare ulteriormente avanti questo concetto, ogni nuovo medium o estensione umana costituisce un nuovo ambiente che controlla quello che le persone che ci vivono e fanno, il modo in cui pensano e agiscono. Se vi chiedete perché i Russi si comportano e reagiscono in maniera diversa dalla nostra, parte della risposta è che probabilmente fino a poco tempo fa hanno vissuto in una società pre-alfabetizzata a lungo. Sono storicamente orientati all’orecchio quando noi siamo orientati all’occhio. È una grande differenza.

Un uomo che non sa leggere raccoglierà tutte le informazioni su quello che è successo prima e quello che sta succedendo fuori dal suo campo di visione ascoltandole. Il suo mondo sarà perciò più diffuso e caleidoscopico che quello dell’uomo alfabetizzato e orientato all’occhio perché l’orecchio non riesce a focalizzarsi come l’occhio. Il processo della lettura – che penso potrei definire come usare gli occhi per apprendere cose che non possiamo vedere – è dipendente dall’abilità dell’occhio di focalizzarsi e seguire in maniera sequenziale. Poche persone sono state in grado di leggere durante le migliaia di anni trascorse dall’invenzione della scrittura. È solo di recente, grazie a Gutenberg, che l’alfabetizzazione è diventato l’ambiente generalizzato per una parte comunque relativamente piccola del mondo. America Latina, Europa Orientale e Meridionale, Asia, Africa sono ancora pre-alfabetizzate o neofite della lettura; le loro strutture ambientali sono ancora orientate all’orecchio.

Le differenze tra società alfabetizzate e pre-alfabetizzate sono enormi. Tra le differenze, quella tecnologica non è la più piccola. La produzione di massa non è iniziata con la rivoluzione industriale, ma con la prima pagina stampata da Gutenberg. Per la prima volta, beni potevano essere prodotti in massa così che uno fosse indistinguibile dall’altro e tutti dello stesso valore. Questa è stata una vera rivoluzione dopo millenni in cui ogni oggetto doveva essere fatto uno per volta ed era in qualche modo unico rispetto agli altri.
Ma ancora più importante fu l’ambiente imposto dal medium della stampa in sé: una parola dopo l’altra, una frase dopo l’altra, un paragrafo dopo l’altro, una pagina dopo l’altra; una cosa alla volta in una linea logica e connessa. Gli effetti di questo pensiero lineare sono profondamente radicati e influenzano ogni aspetto di una società alfabetizzata come la nostra.

Una società orientata all’orecchio, d’altra parte, non agirà o reagirà in questa modalità una-cosa-alla-volta, ma tenderà a ricevere e ad esprimere più esperienze simultaneamente. È la differenza tra il baseball, che sicuramente è una cosa che si succede all’altra in una sequenza logica, e il loro calcio in cui accade tutto insieme. Forse è per questo che molti tra i migliori scacchisti – e gli scacchi è sicuramente tutto che succede in una volta, con milioni e milioni di possibilità simultanee – vengono da società pre-alfabetizzate. O perché un gran numero di fisici atomici sono ungheresi o americani poco più che ventenni. O perché i teenager riescono ad ascoltare la radio a tutto volume, studiare e farsi i capelli ricci allo stesso tempo. Parlo dei teenager perché sta diventando sempre più palese che essi non stanno, come si pensava un tempo, “attraversando una fase”. Sono animali totalmente di un’altra razza. Tante motivazioni sono state addotte per la loro emersione come un gruppo distinto nella società, tra le quali la prosperità e la mancanza di disciplina. E che diavolo! Sono stato giovane anch’io. Ma non ero così. Prima di tutto non ero così sveglio. Poi, questa rivoluzione dei teenager va avanti da un po’ di anni ormai e la prima ondata ora si avvicina ai 30. E io non ero come loro nemmeno quando avevo quell’età.

Allora, che è successo? La teoria di McLuhan è che questa è la prima generazione dell’età elettronica. Sostiene che questi ragazzi siano diversi poiché il medium che controlla il loro ambiente non è la stampa – una cosa alla volta, una dopo l’altra – come è stato per gli ultimi cinquecento anni, ma la televisione, che è tutto che accade subito, istantaneamente, e in modo avvolgente. Un bambino che fa il suo training ambientale con la TV – e oggigiorno molto pochi non lo fanno – apprende nella stessa maniera in cui apprendeva una società pre-alfabetizzata: dall’esperienza diretta dei suoi occhi e delle sue orecchie, senza Gutenberg come intermediario. Naturalmente imparano anche a leggere, ma è una disciplina secondaria, non primaria come quella dei loro vecchi. Quando si tratta di formare le percezioni sensoriali, temo che Mastro Gutenberg non sia proprio nella stessa classe del Generale Sarnoff o del Dottor Stanton [ndt: Sarnoff è stato uno dei pionieri della radio e della televisione in America, Stanton il primo presidente del dopoguerra della CBS e moderatore dei primi dibattiti elettorali in TV]. Nonostante tutto il baccano su quanto la qualità televisiva sia inferiore o inutile, McLuhan non pensa che il contenuto dei programmi televisivi abbia qualcosa a che fare con i reali cambiamenti che la TV ha prodotto; così come un libro da strapazzo o un romanzetto rosa di infima qualità e un classico della letteratura non fanno alcuna differenza nel processo della lettura. Il messaggio fondante della televisione è la televisione stessa, così come il messaggio base di un libro è la stampa. Come dice McLuhan, «il medium è il messaggio».

Questa nuova visione del nostro ambiente è parecchio più realistica alla luce di quanto è accaduto dall’avvento dell’“Era Elettrica” mcluhaniana. L’Era di Gutenberg, che l’ha preceduta, era una cosa susseguente all’altra in sequenza ordinata da causa a effetto. Ha raggiunto il massimo della sua epopea con lo sviluppo dei collegamenti meccanici: A agisce su B, che agisce su C, che agisce su D e così via fino alla fine della linea produttiva e al prodotto finito. L’intero processo era così frammentato in una serie di funzioni, e per ogni funzione c’era uno specialista. Questa metodologia non era confinata a produrre cose; pervadeva l’intero sistema economico e sociale. È ancora così, nonostante siamo in un’epoca in cui causa ed effetto stanno diventando quasi simultanee, rendendo obsolete le nostre nozioni abituali di sequenza cronologica e collegamenti meccanici. Con l’alba dell’Era Elettrica, tempo e velocità sono diventanti d’importanza limitata. Basta premere l’interruttore. Velocità istantanea.

Se siete tra quelli che leggono McLuhan e trovano che le vostre teorie a cui siete arrivati indipendentemente non solo sono confermate, ma si incastrano perfettamente nella sua struttura più ampia, è una sensazione potente. Ma può anche mandare fuori di testa. Perché lì, in mezzo a un paragrafo, troverete molto probabilmente un pensiero apparentemente slegato, del genere che McLuhan chiama un’«indagine» [ndt: «probe» in originale]. L’“indagine” è un pronunciamento finale e piuttosto netto circa un soggetto su cui il lettore si sente come la Più Grande Autorità Mondiale. Come faceva a saperlo McLuhan? E già che c’era, perché non l’ha esteso in quelle 5.000 parole che meritava?
La risposta di McLuhan sulle sue “indagini” casuali è che se si fermasse a svilupparle non proseguirebbe mai con il corpo primario del suo lavoro. Gli vengono in mente così lui le inserisce. Forse, da vecchio insegnante, sente anche che i suoi alunni dovrebbero avere qualcosa da fare oltre a semplicemente registrare le sue conclusioni. Se è così, ci riesce meravigliosamente. È anche l’unico autore che io conosca che scrive un paragrafo che uno potrebbe anche leggere per due ore in maniera profittevole. […]

Chi si scoraggia alle teorie di McLuhan spesso è quello che si può definire un “pro-Gutenberg” […]. Tipi brillanti e flessibili, ma tempo fa si sono impegnati altrove. La loro attitudine è epitomizzata così dallo scrittore Barrows Mussey, con un «La differenza tra McLuhan e me è che, per temperamento – ma anche per esperienza – io sono del tipo che dice che i fratelli Wright non ce la faranno mai a far decollare quel coso. Lui è quello che dice che entro il 1950 ogni famiglia avrà il suo aereo privato». Una caratteristica-chiave dello stile di prosa di McLuhan e della sua visione deriva dalla sua indubbia statura di studioso di Joyce, che è il punto da cui partì lavorando alla tesi del dottorato a Cambridge. Ritiene Finnegan’s Wake il libro più importante della nostra epoca, e anche quello che ha portato maggiore impulso alle sue future esplorazioni. La sua immensa gioia, tutta joyceana, nel muoversi continuamente e a respirare rumorosamente nel letto matrimoniale del linguaggio, è evidente attraverso tutto il suo lavoro; così come il suo piacere in giochi di parole raffinati, alcuni dei quali appuntiti e gravidi (questo perché ci tengo a dire che li colgo), mentre altri sono così oscuri da richiedere una chiave al “McLuhan’s Wake”. […]

La Sposa Meccanica, pubblicato nel 1951, è stato il suo primo libro sui media e anche il più bizzarro. Non mi soffermerò su di esso più del tempo necessario per dire che è un articolo per collezionisti dal valore di circa 50 dollari in condizioni ottime. Il suo secondo, La Galassia Gutenberg, è quello che si dice un Libro Importante. È empireo, costituito da mosaici, riccamente lardellato di magnifiche espressioni letterarie. […]. È un po’ come L’uso umano degli esseri umani di Norbert Wiener: una volta che hai un’idea della nozione del titolo, sei già miglia avanti. Credo che McLuhan resisterà a lungo, per il motivo che c’è un modello osservabile nel suo lavoro che punta a una teoria unificata di un campo, quello delle comunicazioni di massa […]. Capire i Media: le Estensioni dell’Uomo è il primo libro di una trilogia che McLuhan ha in testa. Il secondo sarà chiamato Da Cliché ad Archetipo [ndt: uscirà nel 1970] e spero che sia sottotitolato “L’ambiente dell’Uomo”, perché è ciò di cui tratta. Conosciamo tutti il disdegno riservato a chi non ha letto un libro, ma solo la critica, e ne parla comunque. E che miseria rappresenta per uno scrittore fare la critica a un libro che non ha letto? Qui, cercherò di ricavare un nuovo girone infernale per me stesso: commetterò entrambi questi peccati per un libro che non è stato ancora scritto. Non ho visto una sola pagina del manoscritto incompleto di McLuhan, ma ne ha parlato abbastanza che penso di farcela.

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Dal cliché all’archetipo, al caso

Tutti parlano dell’ambiente ma nessuno fa nulla per esso. Questo perché, dice McLuhan, «il momento in cui un uomo riconosce il proprio ambiente diventa qualcos’altro, il suo “vecchio ambiente”, e così il contenuto del suo nuovo, o vero, ambiente; che, naturalmente, di nuovo è non visto». Vi siete già persi? Puliamo le briciole dalla tavola: per “ambiente” intende quell’abituale, non notato, insieme di condizioni che limitano il mondo di un organismo in qualsiasi dato momento. Nel corso normale degli eventi, non siamo consapevoli del nostro ambiente più di quanto un pesce lo sia del suo. Come disse Padre John Culkin di Fordham, un seguace di McLuhan tra i più noti: «Non sappiamo chi ha scoperto l’acqua, ma siamo abbastanza sicuri non sia stato un pesce». Immaginate una serie di cupole chiare di plastica, una dentro l’altra. Potete vederlo solo dall’esterno, da dentro sono invisibili. Vi rendete conto dell’ambiente – una delle cupole che vi circondano – solo quando ne uscite. A quel punto riuscite a vederlo. Ma non potete vedere quello che adesso è sopra di voi.

Per dirla in altro modo, supponiamo che una formica abbia vissuto tutta la sua giovane vita in un formicaio. Non è realmente consapevole che il formicaio è il suo mondo; semplicemente è il suo mondo. Un bel giorno la nostra formica viene spedita fuori con un compito importante, ad esempio riportare uno scarafaggio morto. Esce dal formicaio. Due cose accadono: 1) vede il formicaio per la prima volta; 2) diventa consapevole che il mondo è un posto molto grande. Questo significa che è consapevole dell’ambiente? No, perché non sa che il suo formicaio è dentro una serra. L’unico modo in cui può divenire consapevole della serra è uscendone. Ma anche questo non le porterà vantaggi perché, dovete sapere, la serra è dentro lo stadio di Houston, e così via. A ogni momento, noterete che il vecchio ambiente diventa contenuto per il più nuovo, mai il contrario. McLuhan, in una delle sue sporadiche “indagini” conversazionali, nota che questo sembra funzionare anche in decorazione. Un mobilio vittoriano si adatta a una stanza moderna, ma un pezzo di design moderno è semplicemente fuori luogo in una stanza vittoriana.

Cresce così la consapevolezza cosciente che c’è qualcosa di più alto che ci controlla di quanto avessimo pensato. La conclusione è che non riusciremo mai a metterci in pari: siamo sempre un passo indietro, perché tutto è contenuto da qualcosa di più grande. […]
Ci sono ambienti di diverso genere oltre a quello dello spazio fisico: di business, politico, sociale, culturale, di comunicazione ecc. Ma per il momento chiamiamo tutto ambiente. Due cose ci rendono consapevoli di un ambiente: o cambia lui o cambiano noi. Un uomo che ha perso una gamba diventerà consapevole dei passi. Un uomo che ha bevuto cinque martini potrebbe vedere cose mai viste prima da nessun altro. C’è un’altra varietà di riconoscimento ambientale per quelli che lo vedono da fuori. Ci sono parecchie varietà di quelli che McLuhan chiama «anti-ambientali», anche se “extra-ambientali” penso lo descriva meglio. Un extra-ambientale può essere una persona all’interno di una società le cui percezioni non sono state condizionate dalla struttura di un dato ambiente.

La storia dei vestiti nuovi dell’imperatore ne è un buon esempio. Il bambino, poiché non era ancora responsabilizzato dalla struttura di potere ambientale, non vedeva i vestiti dell’imperatore. È stato solo quando il bambino extra-ambientale ha indicato che il re era nudo che anche gli altri sono stati in grado di vederlo. Similarmente, un teenager con la sua percezione eterocondizionata sarà extra-ambientale nella nostra società gutenberghesca. Un secondo tipo di extra-ambientale è apparentemente dovuto a un’innata deficienza. Cioè, alcune persone sono incapaci di vedere le cose in maniera normale. D’altra parte, vedono cose che le persone non normali non riescono a vedere. Durante la Seconda guerra mondiale alcuni osservatori aerei furono reclutati in quanto daltonici. Il daltonismo li rendeva capaci di distinguere le cose concepite per confondere una normale vista, come il mimetismo. Guardavano a un segmento di paesaggio e dicevano: “Ehi, lì c’è una postazione di artiglieria!”. A causa della loro disabilità, il difetto di vista, i loro occhi non si facevano ingannare dalla mimesi; tutto quello che vedevano era la cosa che doveva essere nascosta. Così, l’extra-ambientale ha un grande vantaggio. La sua mente non è intrappolata in un dedalo di regole o altri impedimenti ambientali che spesso sono visti come esperienza. Più esperienza avete, meno siete in grado di guardare a un dato ambiente, in particolare il vostro, con un occhio libero.

Ho scritto prima che uno dei modi in cui diventiamo consapevoli dell’ambiente è il momento in cui esso cambia. Tuttavia, in qualche caso un ambiente può cambiare senza che ci rendiamo veramente conto di ciò che sta succedendo. In parte questo è dovuto a un gap terminologico, in parte all’assegnazione di responsabilità, tipica della nostra Era Meccanica, a specialisti. Il modo di viaggiare, ad esempio, è cambiato drasticamente, e non solo nel senso che è più veloce. Un viaggio, nella maggior parte dei casi, non è più viaggio: è un processo che ha un inizio e una fine ma virtualmente nulla nel mezzo. Il viaggio non è tanto un’esperienza, quanto una sospensione di esperienza. Volare in aereo da San Francisco a New York non è niente di più che un passaggio in ascensore in orizzontale. Uno s’immagina che, avessimo palazzi alti 3.000 miglia, ci sarebbe una hostess nell’ascensore che ci offre caffè o tè.

La terminologia è così importante? Sì, perché nominare le cose è riconoscerle, è la maniera in cui impariamo circa il nostro ambiente. Il che ci porta agli specialisti. Uno specialista è per definizione ambientale. È dedicato a ciò che McLuhan chiama una funzione frammentata all’interno di un dato collegamento di processo. Se l’ambiente cambia, non diventerà necessariamente extra-ambientale. È più probabile che porterà con sé la sua tendenza alla specializzazione allo stesso modo in cui una lumaca si porta il suo guscio. Uno specialista nato tenderà a interpretare tutta l’esperienza alla luce della propria abilità. Storia emblematica: un giorno un sarto andò a Roma e mentre era lì riuscì ad avere un’udienza con il Santo Padre. Al suo ritorno un amico gli chiese: “Allora, com’è il Papa?”. Il sarto rispose: “Un 42 regolare”.

Il resto è su Bill 12.

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