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Sport e guerra
Sara Nissoli

Il mese scorso Young and Rubicam Buenos Aires ha pensato e prodotto un film che ha suscitato diverse polemiche. Isole Malvinas, 2012: Fernando Zylberberg, un atleta della squadra argentina di hockey su prato, si allena per le imminenti Olimpiadi londinesi. Corre, fa flessioni, un po’ di step, fin qui tutto regolare.

Poi la chiusa, un vero e proprio fulmen in clausula: “Per gareggiare in suolo inglese, ci alleniamo su quello argentino”. Gli inglesi certo non hanno gradito. Le Isole Malvinas altro non sono infatti che le Falkland, arcipelago che da un punto di vista geografico certo può dirsi argentino, ma che politicamente è a tutti gli effetti territorio anglosassone (occupato inizialmente nel 1884, rivendicato definitivamente nel 1982). Tra gli inglesi, a storcere il naso, c’era anche Sir Martin Sorrell, capo supremo di WWP (gruppo cui appartengono, tra le altre, Ogilvy, Grey, JWT, Y&R ecc). Sorrell ha da subito condannato il film e richiesto al governo argentino che non venisse più trasmesso. Le motivazioni? Lo spot è stato accusato di strumentalizzare le olimpiadi a scopo politico: una propaganda irrispettosa, dal momento che i cittadini delle Falkland si sentono inglesi a tutti gli effetti e tali vogliono rimanere. Inoltre il tono della comunicazione apertamente polemico e dissacrante (i gradini su cui Zylberberg fa step, per esempio, sono nientemeno che quelli del monumento ai caduti) va contro lo spirito olimpico di pace e armonia.

Se nell’Antica Grecia le Olimpiadi erano in grado di fermare le guerre, oggi i nazionalismi sembrano impossibili da placare e le manifestazioni sportive diventano un altro territorio di scontro dove dare sfogo a rivalità antiche e nuove. L’agonismo è talmente radicato nella società contemporanea che non è strano nemmeno trasformare la guerra in una sfida contro il caos.

Nello spot di JWT Atlanta per il reclutamento di nuovi Marines, vediamo i soldati impegnati a correre tra nuvoloni neri e il deserto inospitale, sbarcare nella terra di nessuno, imbracciare i fucili e sparare a un nemico invisibile.

Non si tratta più di andare a fare la guerra, né di avere il coraggio di rischiare la propria vita, ma di ascoltare il suono del caos e correrci incontro, per riuscire a ripristinare l’ordine. Il tutto in mood film d’azione (o videogioco) con la suspance scandita dall’incalzante sottofondo musicale, capace di risvegliare l’agonismo latente in ognuno di noi. A questo punto non è un caso nemmeno che sia stato trasmesso durante un torneo di basket tra college, nel vivo della sfida, con tanto di incoraggiamento delle cheerleader.

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