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DA BILL 08: “I FATTI NON BASTANO”
Bill Bernbach

Su Bill c’è un altro grande inedito di Bernbach: il suo discorso al meeting annuale dell’American Association of Advertising Agencies del 1980. Ci sbilanciamo: uno dei suoi capolavori. Qui un estratto. Il resto è su Bill 08.

Fatti e conoscenza non sono abbastanza per persuadere. In realtà, sono spesso ostacoli alla persuasione. Per un businessman questo è sempre un concetto difficile da afferrare nella sua interezza. Lui tratta cose tangibili, si preoccupa dell’aritmetica del commercio. E’ un esperto di numeri. Dopotutto, il suo bilancio non è espresso in numeri? Il suo profitto, non è un numero? Questa è la realtà della vita che non deve mai perdere di vista! Bene, diamo un’occhiata ad alcune di queste realtà e vediamo quanto possono essere irreali. Nella sua autobiografia, il grande critico d’arte Kenneth Clark, racconta di un incidente accaduto nella sua infanzia. Suo padre, un uomo molto ricco, aveva invitato a colazione sul suo yacht alcune persone importanti. Al giovane Kenneth fu concesso di sedersi con loro. Li raggiunse un messaggio che portava la notizia dell’assassinio dell’Arciduca Ferdinando. Clark chiese: “Questo significa guerra con la Germania?”. Lord Cunliffe, un uomo di finanza, rispose senza esitazione: “Non succederà mai. I tedeschi non hanno abbastanza credito”.

Kenneth Clark rimase impressionato da questa analisi istantanea, di cui non si dimenticò mai. La storia prosegue nel 1939, al Beefsteak Club, dove, da maturo uomo di successo, sta cenando con tre tra i più importanti uomini di finanza di Londra a capo delle prestigiose Hambros, Lazards e Bensons. La conversazione andò rapidamente sulla politica militare aggressiva di Hitler. Arrivò la domanda: “Questo ci porterà alla guerra con la Germania?” e Lord Clark ricorda il più eminente dei tre uomini affrettarsi a rispondere “Amici miei, non penso proprio, la Germania non ha abbastanza credito”. E tutti concordarono. Questa volta, scrive Clark “Non ero così impressionato, anzi ero piuttosto spaventato dal fatto che le nostre finanze erano nelle mani di gente che soffriva seriamente di deformazione professionale“. Qual era la realtà? I fatti e le cifre della finanza che Lord Cunliffe conosceva così bene? O l’apparentemente intangibile potere delle spinte emozionali e una capacità di persuasione che nel caso di Hitler prese il sopravvento su ogni logica?

Qual era la realtà che portò Einstein alla rivoluzionaria teoria della relatività? Fu una grande padronanza della matematica, simile a quella dei suoi colleghi? No. Quando Einstein insegnò alla famosa Gottingen University non era considerato un grande matematico. In realtà, addirittura, era oggetto di osservazioni poco gentili sulla sua abilità, da parte degli studenti migliori. Questo spinse Hilbert, direttore del dipartimento della scuola e probabilmente il più rispettato matematico in Europa, a riunire i laureandi per dire loro: “Ogni ragazzo che gira nelle strade della nostra matematica Gottingen capisce di più della geometria a quattro dimensioni che Einstein”. Malgrado ciò, fu Einstein ad arrivare ai risultati, e non i matematici. Hilbert chiese: “sapete perché Einstein ha saputo dire le cose più originali e profonde sul tempo e sullo spazio che siano state dette nella nostra generazione? Perché non ha imparato nulla su tutta la filosofia e la matematica del tempo e dello spazio”. Hilbert voleva dire che possiamo perderci nella ragnatela della nostra sofisticata conoscenza e metodologia e non riuscire a vedere le semplici verità che ci stanno intorno. Lo stesso Einstein ebbe a dire: “Il compito supremo del fisico è di arrivare alle leggi elementari dell’universo da cui il cosmo può essere costruito per pura deduzione. Non c’è un cammino logico verso queste leggi; solo l’intuizione che si basa sull’esperienza può raggiungerle”. E in una conversazione con Janos Plesch, un amico fisico, sulle similarità tra scrivere fiction e la matematica, Einstein disse: “Quando esamino me stesso e i miei metodi di pensiero, arrivo alla conclusione che il dono della fantasia ha contato per me più del mio talento nell’assorbire conoscenza positiva”.

I POETI

Sì, anche tra gli scienziati, uomini che sono visti come adoratori di fatti, i veri giganti sono sempre stati poeti, uomini che riuscivano a balzare dai fatti al regno dell’immaginazione e delle idee. E’ per questo che il grande risultato di Einstein è chiamato teoria della relatività. Era un’idea, arrivata attraverso la combinazione tra la sua esperienza e una sensibile immaginazione e capacità intuitiva. Al momento della sua concezione non era possibile provarla, era oltre i fatti. Se pensate che Einstein sia un esempio isolato, un’eccezione, nella storia della scienza si può trovare come sia la regola piuttosto che l’eccezione. In un saggio su Isaac Newton, il grande scopritore della gravità, John Maynard Keynes lo descrive così: “Era un matematico insuperabile, ma la cosa veramente straordinaria fu la sua intuizione, così felice nelle sue congetture da conoscere più di quello che poteva umanamente provare. Le prove, per quello che valgono, furono elaborate in seguito. Non furono gli strumenti delle scoperte”. E lo stesso si può dire di Bertrand Russell, uno dei matematici più eminenti di questo secolo. Così si racconta: “Il modo in cui lavoro è avere la sensazione che qualcosa sia in un certo modo. Dopodiché, torno indietro e lavoro sulla matematica per provarlo”. E aggiunge: “Se la matematica non quadra, non butto via l’idea, butto via la matematica. E riparto da capo”.

Qual è la realtà nel far sì che le persone guardino la vostra campagna pubblicitaria? (A parte ovviamente il fatto che se succede è il massimo e che il resto non conta granché). Ma come si fa? Si scopre cosa dire e lo si dice? Supponiamo che le vostre ricerche dicano che una donna vuole di più dalla sua tinta per capelli è non avere capelli che sembrino colorati artificialmente. Vuole che appaiano naturali. Supponiamo però che anche i concorrenti abbiano le stesse ricerche e giungano allo stesso fatto, e che tutte le campagne di tinte per capelli diranno che con la loro tinta i capelli sembrano naturali. Allora cosa succede? Succede che nessuno riuscirà a far colpo, perché sarete solo uno nella folla e nessuno riesce a farsi notare rispetto agli altri. Per quanto vero e reale sia il vostro fatto, semplicemente, non basta. Nel caso di Clairol’s Nice ‘n Easy è stato fatto un semplice cambiamento. Non cambiando il fatto, badate, ma adottando un linguaggio che nessun altro stava usando, un cambio che ha dato a Nice ‘n Easy una personalità unica, ottenendo la visibilità tra le altre campagne. Invece di dire solo “Tu sembrerai naturale” l’annuncio presentava una giovane donna che diceva “Mi fa essere me stessa”. Non era un cambiamento di concetto o di contenuto. Diceva solo “sembrerai naturale” in maniera nuova e fresca. Diceva alle giovani lettrici “quello che sei è fantastico, e noi faremo sì che tu sia al meglio di te”. Con quel piccolo, apparentemente intangibile, cambiamento, con tutto il resto che rimaneva al suo posto, nessun cambio nel prodotto, nel prezzo o nella distribuzione, sono stati sette anni consecutivi di vendite in crescita, lettura Nielsen dopo lettura Nielsen, fino al punto che Nice ‘n Easy, che era già la tinta più venduta del mercato, ha raddoppiato le sue vendite.

L’ironia è che alcune delle cose più sottili, le più indefinibili, così delicate che vengono disperse in un processo di analisi, si dimostrano essere quelle che provocano quei meravigliosi, grossi numeri nella casella dei profitti. Un’immagine di un uomo che piange è solo l’immagine di un uomo che piange? Beh, può darsi. Oppure può essere realizzata in modo tale che a piangere sia chi la vede. E allora sarà il talento inafferrabile, la realtà definitiva che tocca e muove le persone facendo succedere le cose. Bert Lahr era un tremendo ipocondriaco e immaginava di avere ogni malattia conosciuta agli uomini. Il suo medico stava letteralmente stancandosi di lui. Un giorno, Bert lo chiamò: “Dottor Siegel, ho la nefrite”. Al che il dottore rispose: “Senti, Bert, non ne posso più di te. Adesso ti ho incastrato. La nefrite è una malattia senza dolore o alcun altro sintomo”. Bert replicò: “Infatti, dottore, io mi sento benissimo”. Insomma, iperanalizziamo qualsiasi cosa.

Ho un grande rispetto per la pubblicità testata. E’ per questa ragione che ho nominato John Caples, il nome più famoso della pubblicità testata, per la Hall of Fame. Alla fine dei conti, però, è stata la sua abilità creativa a produrre i suoi lavori più efficaci. Prendente l’headline più famosa scritta da Caples: “Si misero a ridere quando mi sedetti al piano, ma quando cominciai a suonare…”. E se questo pensiero fosse stato scritto con un linguaggio diverso? Sarebbe stato altrettanto efficace? Se avesse scritto “Hanno ammirato la mia abilità a suonare il piano”, che allo stesso modo gioca sull’istinto di essere ammirati, sarebbe stato lo stesso? Oppure è stata l’espressività talentuosa, piena di immaginazione, a fare la differenza, con quel meraviglioso senso di rivincita? Come disse il direttore di un’agenzia: supponiamo che Winston Churchill abbia detto “Dobbiamo molto alla R.A.F.” invece di “ Mai così tanti devono così tanto a così pochi”. Pensate che l’impatto sarebbe stato lo stesso?

Supponiamo che David Ogilvy avesse detto, nella sua famosa campagna per Rolls Royce: “La macchina più silenziosa al mondo” invece di “A 60 miglia all’ora il rumore più forte che sentite in questa nuova Rolls Royce sarà l’orologio elettrico”. Sarebbe stata la stessa cosa? Ci avreste creduto? Supponiamo che l’annuncio Volkswagen, che aveva il compito di raccontare la storia dei controlli scrupolosi alla qualità delle auto, avesse detto “Il più grande sistema di controllo qualità al mondo” invece della singola, scioccante parola “Lemon” (Lemon è un’espressione gergale americana equivalente di “Bidone”, ndt). Pensate che qualcuno l’avrebbe notato? Forse solo dopo che l’avessimo ripetuto un centinaio di volte, avreste avuto idea di quello che volevamo dirvi. Ma in un singolo colpo, abbiamo attirato l’attenzione sul fatto che quello di Volkswagen è un fantastico sistema di controllo qualità. Ero a Wolfsburg, in Germania, e vidi l’ispettore guardare l’auto attraverso una lente di ingrandimento e mandarla indietro perché aveva notato un graffio che io non potevo vedere a occhio nudo. Ma come fate a convincere la gente di Volkswagen a mettere la parola “lemon” nella propria campagna? Ci si può esprimere in questo modo parlando di un proprio figlio? Si sa, un padre parla della propria figlia e vi racconta che è la ragazza più bella, la più dotata, la più intelligente al mondo, e voi ridete e lasciate andare. Ci sono tanti di noi che fanno così con i prodotti che pubblicizzano. Ma la gente non ci crede.

Per chi parla di pubblicità non esprimere l’importanza della creatività nell’attrarre l’attenzione su una campagna e nel rendere memorabile il vantaggio di prodotto è una negligenza quasi criminale. Tutti ne pagano il prezzo: creativo, agenzia e cliente. Il danno pratico che l’insensibilità alle sottili sfumature del linguaggio provoca è incalcolabile. E un’agenzia o un cliente che soffoca questa sensibilità nei team creativi sta probabilmente spuntando l’arma più affilata di cui dispone. Ricordate quel giovane che la sera prima del matrimonio non riusciva a contenere il suo ardore e mandò un telegramma alla sua futura sposa? L’impiegata dell’ufficio postale gli disse che aveva scritto sei parole e aveva diritto a una settima. Allora lui aggiunse una parola. Ora l’appassionato telegramma recitava: “TI AMO. TI AMO. TI AMO… SALUTI.” Talvolta è meglio non mettere in una campagna tutto quello che volete inserire.

Il resto è su Bill 08.

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