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DA BILL 04: “METTI IN DUBBIO LO STATUS QUO. ANCHE SE TI PAGA LE BOLLETTE”
Andrea Masciullo

Su Bill 04 c’è un lungo approfondimento su KesselsKramer. Abbiamo già visto su questo sito un estratto dell’articolo di Alessandro Omini, ora è il turno della traduzione dal libro “Advertising for people who don’t like advertising” edito da Laurence King. Solo un pezzettino: il resto è su Bill 04.

FAVOLE PER TREND SPOTTERS.

Questa è una storia sull’Occidente.

Inizia così: a un certo punto durante gli ultimi vent’anni, tutti siamo diventati hippy. Alcuni di noi sono diventati hippy extralarge, altri hippy di taglia media, altri ancora hippy piuttosto piccoli – hippy in completo e BMW. Tuttavia, rispetto all’Homus Eighties, potremmo tutti metterci a suonare la chitarra acustica con girasoli tra i capelli.

Come risultato di questa hippyficazione collettiva, i prodotti e i servizi che promuovono un consumo più consapevole sono diventati la norma.

Per esempio il riciclo. Una volta era riservato ai seguaci della New Age, ora è globale e assolutamente comune. O il cibo biologico. La nostra indifferenza rispetto a cosa mangiamo sta svanendo. Lentamente stiamo iniziando a votare con le nostre tessere dei supermercati, lentamente la produzione sta diventando amichevole: verso persone, polli, maiali, pesci, olive e pomodori. Persino le arachidi per il burro muoiono con grazia e dignità. Possiamo usare parole come “pesca a strascico” e “industria bio” senza che l’altro chieda un dizionario.

Oggi la sostenibilità è un punto fondamentale di ogni discorso presidenziale. Oggi nessuno rimane impressionato se compri dal Commercio Equo Solidale. Oggi le multinazionali investono milioni in spot sulle loro buone azioni ambientaliste. Oggi un documentario difficile e duro sulla corruzione finanziaria e le ingiustizie economiche, Inside Job, vince un Oscar. Anche se non siamo ancora tutti come Joni Mitchell, l’Occidente sembra sulla rotta per il Pianeta Hippy.

A un certo punto questa tendenza si è fatta strada in un settore visto da sempre come lo scantinato della morale: l’advertising (un piano più giù degli avvocati, dopo gli addestratori di bambini soldato a destra).

Socialmente accettabile quasi quanto la compravendita di armi, l’advertising è ancora considerato “gas velenoso” (per citare il leggendario art director George Lois). Mentre stiamo scrivendo, Morgan Spurlock ha realizzato un nuovo film sui danni della pubblicità e il Peter Joseph’s Zeitgeist Movement condanna la creatività a fini commerciali come opera del diavolo. Per di più, le persone pensano che la pubblicità sia manipolatrice e ricattatrice o semplicemente propaganda senza scrupoli.

Non è che non siamo d’accordo.

Queste opinioni sono vere almeno in buona parte, ma una controcultura c’è persino nella comunicazione. Negli anni ’90 sono cresciute agenzie che hanno ribaltato lo stereotipo dei Mad Men come un calzino, abbracciando valori diversi e vicini allo sguardo più consapevole di oggi.

Quelle agenzie hanno rivoluzionato l’industria su tutti i livelli. Hanno sperimentato pratiche creative più liberali e aperte, politiche di business più trasparenti, hanno agito eticamente. Hanno scaricato il tabacco, le compagnie aeree, i partiti politici reazionari. Un ottimo esempio è l’agenzia Howell Henry Chadelcott Lury (…).

Quelle agenzie hanno potuto fare tutto questo perché in fondo l’advertising è neutro dal punto di vista morale. Ci crediate o no, la pubblicità di per sé non crea ansia o voglia incontrollabile di immondizia. Certo, di solito è quello che le fanno fare, ma non coincide con quello che è.

(…) Alex Bogusky definisce l’advertising come “una richiesta di attenzione” e collega la sua etica al sesso: con il sesso si possono fare cose orribili e anche cose decisamente fantastiche (una famiglia, per esempio). Sesso e advertising sono solo sesso e advertising. Dipende da cosa la gente ne fa.

Il resto è su Bill 04.

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