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DA BILL 10: IL LIBRO SU “THINK SMALL”
Dominik Imseng

In esclusiva per l’Italia, su BIll 10 troverete alcuni brani dal primo libro mai dedicato a un unico annuncio pubblicitario: “Think Small”, di Dominik Imseng (Full Stop Press). Qui un estratto.

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È quasi impossibile pensare a “Think small” guardando al 1959 e i primi del 1960. Non solo operò un taglio netto alla campagna nel periodo di cambiamento dell’advertising del comparto automobilistico, ma all’advertising stesso, spiccando in un modo che nessuno aveva mai fatto, almeno sino a quel momento. In qualche modo “Think small” era un’anti-campagna. Non era piena di colore, ma in bianco e nero («Avevamo usato il bianco e nero principalmente perché non potevamo permetterci molto colore», ricorda Krone, «Non avevamo realizzato quanto potesse essere scioccante fino a quando non l’abbiamo visto stampato in un magazine»). Non c’era un’illustrazione ad aerografo idealizzata della macchina, con piccole esplosioni di luce su di essa, bensì una reale fotografia nuda e cruda scattata da Wingate Paine. Non c’era un guidatore figo, una donna affascinante, e neppure una famiglia che si godeva la sua nuova Beetle. La piccola macchina, quasi piccola come un francobollo, era curiosamente collocata su uno sfondo di spoglio bianco nulla.

L’altro piccolo visual, il logo Volkswagen era anch’esso stranamente collocato: non in basso a destra accanto alla firma, ma tra la seconda e la terza colonna. (Krone inizialmente voleva mostrare una vera chiave di automobile, ma dato che la forma continuava a cambiare, usò una chiave ritagliata come il logo VW). Il layout era, a prima vista, tradizionale: per due terzi immagine, un terzo di testo, suddiviso in tre blocchi centrati tra il visual e la body copy. Ma la headline aveva un punto – adesso nessun copywriter lo ometterebbe, ma prima di questo ti faceva fermare e meravigliare di quanto la body copy giustificasse questo irritante imperativo sfidante di “Think small”. («Doyle Dane portò fuori il punto esclamativo fuori dall’advertising», ha detto Krone, «io ci ho messo il punto»). Inoltre, il carattere tipografico – chiamato Futura e creato dal designer tedesco Paul Renner nel 1927 – non era Roman come ci si aspetterebbe in un look così classicamente editoriale, ma Sans Serif, con una “riga vedova” alla fine della prima colonna della versione aziendale che Koenig non riempì facendo un terzo paragrafo una riga o più corta o più lunga. “Attualmente io taglio queste righe vedove nel primo ads Volkswagen con una lama e ho chiesto a Julian Koenig di scrivere in questo modo» ha detto Helmut Krone in un’intervista del 1968. «Ho deliberatamente tenuto i blocchi solidi, e quando sentivo che una frase potesse essere tagliata, suggerivo unicamente di fare un altro paragrafo. Volevo che la bodycopy sembrasse Gertrude Stein». [...]

Nessun ampolloso sproloquio tipico delle campagne pubblicitarie di macchine dell’epoca o di nessun’altra campagna pubblicitaria di qualsiasi argomento. Solo fatti, umorismo e fascino, dando così alla Beetle la personalità di un adorabile sfavorito che cercava di confrontarsi allo stesso livello con le più grandi, ben strutturate concorrenti con argomenti come “ottimo rapporto qualità-prezzo” o “alto chilometraggio”, per non essere schiacciata. Si può anche sostenere che, usando autocommiserazione ed ironia, ricorrendo agli elementi tradizionali dello humor yiddish, DDB vendette la macchina di Hitler rendendola ebrea. La leggenda del marketing Hal Ries (co-autore di Positioning) si prese la briga di comparare 146 pubblicità di macchine del 1950 con “Think small”. «Quasi tutte le campagne», concluse Ries, «mostravano persone [...]. In quale altro modo un direttore creativo poteva dimostrare il piacere che i clienti potevano sentire per il loro acquisto?».

«Quasi tutti […] hanno usato artwork, non la fotografia. In quale modo un direttore creativo poteva far sembrare le macchine sia lunghe sia basse sia belle?».
«La maggior parte di essi […] ha usato più di un’illustrazione […]. In quale altro modo un direttore creativo poteva comunicare tutti le fantastiche caratteristiche solo con l’utilizzo di differenti illustrazioni?».
«Adesso confronta queste campagne con ‘Think Small’». Questa è la differenza tra complessità e semplicità. Tra artificio e realismo.
E tra andare in rovina e continuare una storia di successo: a 24 mesi dal lancio dei primi piccoli modelli Detroit, le vendite americane delle macchine importate (molte delle quali compatte) crollò da 614.000 nel 1959 a 379.000 nel 1961 e solo le vendite di VW non furono influenzate. Infatti, le registrazioni delle Beetles addirittura crebbero raggiungendo un numero di 150.000 nel 1961. «E mentre Detroit doveva garantire grandi sconti per liberarsi delle proprie macchine», sogghigna Carl Hahn, (il responsabile Volkswagen per l’America in quel periodo, ndt)  «Volkswagen poteva aumentare il prezzo della Beetle ogni anno». Pensare in piccolo ripagò alla grande.

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Il resto è su Bill 10.

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