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DA BILL 12: JOHN MESCALL SU DUMB WAYS
Bill

Bill 12 contiene un’ampio speciale su ciò che abbiamo chiamato “Virale Globale”. Poteva mancare John Mescall, già direttore creativo di McCann Melbourne e creatore dello straordinario successo di “Dumb Ways To Die”? Qui pubblichiamo un brano dall’intervista realizzata nel 2012 da Chris Byrne per il magazine australiano Marketing.

Qual è stata la strategia di “disseminazione” dietro “Dumb Ways To Die”?

Abbiamo puntato molto su Tumblr, perché al momento è un medium sottoutilizzato dai marketers. Non c’è molto buon marketing su Tumblr, ed è un format che le persone amano condividere. Così abbiamo reso la campagna molto facilmente condivisibile. Abbiamo messo la canzone su Sound Cloud e su iTunes, perché ad alcuni piace comprare da iTunes mentre ad altri piace ascoltarla gratis. Alcuni colleghi spingono su Reddit, provano a ottenerne la prima pagina. Noi abbiamo lasciato che accadesse spontaneamente, ed è molto più efficace. Molti brand disabilitano i commenti, ma è una pazzia; più ce ne sono e meglio è. Abbiamo incoraggiato le parodie, abbiamo incoraggiato le copie. “Condivisibilità”: devi avere un grande contenuto, ma devi anche lasciarlo libero. E devi essere presente nei media da cui le persone vogliono condividere. Se l’unico luogo per vedere il video fosse stato dumbwaystodie.com, non avrebbe funzionato.

Gli influencer della rete facevano parte della strategia?

No. La primissima persona a cui abbiamo fatto trapelare il progetto è stato un giornalista che sapevamo avrebbe capito fin dall’inizio il ragionamento alla base della campagna, e che le avrebbe creato attorno un alone positivo. Non l’abbiamo mandata agli influencer della rete. Non c’è stato bisogno. Da graphic designer, da creativi, sapevamo che quando le persone l’avrebbero vista sarebbe piaciuta abbastanza da condividerla, perché abbiamo lavorato molto sulla qualità del contenuto. Spingere sugli influencer può funzionare, soprattutto se il contenuto non è abbastanza buono da essere condiviso spontaneamente; ma nel nostro caso sapevamo di non averne bisogno. E così è molto più efficace.

In quel primo weekend è stato il filmato più condiviso nelle classifiche virali di Unruly Media. È stato condiviso più del nuovo video di Rihanna.

Battere Rihanna è stato bellissimo. Quel weekend stavamo a guardare. Sabato è stato sulla prima pagina di Reddit per otto ore e abbiamo pensato ‘oddio…’. Notevole per un filmato sulla sicurezza nelle stazioni. C’è da impazzire leggendo i commenti su Youtube; è il posto più insensato sulla terra, ma un’alta percentuale di persone mostrava di capire il messaggio. La condivisibilità e l’esposizione mediatica fini a se stesse non servono. Il messaggio deve essere compreso. Le morti ferroviarie occupano 40 secondi dei tre minuti totali. Mi dicevano: “hai seppellito il messaggio alla fine del filmato”, ma sono 40 interi secondi in cui si parla delle morti ferroviarie. Se avessimo solo comprato uno spot di 45 secondi, non ci sarebbe stato modo di farlo funzionare con 40 secondi di morti ferroviarie.
È stato mostrato nelle scuole di tutto il mondo, ed è stata una sorpresa. È diventato uno strumento di insegnamento, non l’avevamo previsto. La campagna era destinata solo a Melbourne, ma non si può mettere internet in quarantena, è globale. Devi accettare che il tuo contenuto possa essere visto e che sarà visto da tutti nel mondo. Ed è buffo: più gente fuori dall’Australia lo vede e più gente in Australia vuole vederlo. Le persone sono attratte dal successo online. Abbiamo deliberatamente inserito animali nordamericani nel filmato. Sapevamo che così facendo avremmo ottenuto velocemente grandi numeri, e questo significava che i ragazzi australiani avrebbero maggiormente desiderato vederlo. Siamo stati un po’ criticati: “Non abbiamo l’alce in questo Paese” e “Perché non sono canguri?”; quello è il motivo. Ma tutti sanno cos’è un alce, tutti sanno cos’è un serpente a sonagli.
Funziona così per tutti i contenuti. Devono possedere un’attrattiva universale. La storia deve interessare a tutti. E una buona storia raggiunge questo scopo. Se la storia è buona, ci si dimentica dove è ambientata; non è questione di dove, è questione di cosa, è questione di raccontare una storia.

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Inoltre il messaggio era di poche parole. Non avete detto esplicitamente “non giocare sui binari”. Parla da solo.

Non diciamo mai “non farlo”. Mai. Facciamo sapere alle persone che è una cosa stupida da fare e nessuno vuole essere stupido. Se avessimo detto alla gente “non farlo”, non avrebbe funzionato altrettanto bene. Sarebbe stato un modello di controllo. La pubblicità tradizionale si basa sul controllo: fai questo, compra questo, non fare questo, possiedi questo, chiamaci ora. Invece il modello di contenuto ruota intorno a un’esperienza e a un messaggio, ma senza dirlo direttamente. Ti coinvolge, ti fa vedere, ti fa percepire qualcosa. Non si tratta di dire.

C’è stata molta discussione sul branded content e sulla sua recente rinascita. Quale evoluzione credi possa avere?

Ho la forte sensazione che il branded content sia meno orientato verso un modello di intrattenimento e più verso il modello giornalistico e di storytelling. Tutto è pubblicità adesso; è il punto di partenza per la maggior parte delle agenzie, il che è molto interessante. E scopriamo che non c’è quasi distinzione tra branded content e pubblicità. Tutto è frantumato. Siamo in questo strano periodo di transizione in cui ci chiediamo dove iniziano e dove finiscono le inserzioni pubblicitarie. Le persone vogliono controllare il contenuto e vederlo sui loro social media, che sono pagine e piattaforme non commerciali. Dunque credo che il branded content debba essere molto meno commerciale di quanto era solo pochi anni fa. L’aspettativa era che se facevi un annuncio abbastanza divertente e interessante, le persone sarebbero andate a vederlo da qualche parte. Vi ricordate l’ascesa dei microsite, piccoli siti dedicati a singole campagne? Ogni campagna aveva un microsite e dovevi andarci. Le persone non vogliono più farlo. Si rifiutano di viaggiare fino a te. Le persone vogliono trovarsi di fronte al tuo contenuto, e non solo per il loro divertimento; vogliono condividerlo tra di loro, controllarlo, possederlo. Non vogliono più doverti raggiungere.

Come definisci la differenza tra branded content e un annuncio pubblicitario?

Il branded content deve avere valore al di là del messaggio di marketing. È difficile, perché il marketing preme invece per la chiarezza del messaggio; in un annuncio pubblicitario il messaggio deve essere in bella vista perché la gente non presta attenzione agli annunci pubblicitari classici. Dunque devi essere molto chiaro, devi interrompere, devi colpire le persone. Il branded content si basa su una psicologia completamente diversa e richiede l’approccio opposto. Occorre fiducia in se stessi, ci si avvicina in silenzio alle persone; e si tratta di persone: tollerano la pubblicità ma di solito non gli piace. Inoltre non molti nel nostro mestiere hanno ancora capito come produrre un branded content. È difficile da ideare. E io credo che molti che lavorano in pubblicità siano probabilmente meno in grado di altri di capirlo. Ci sono grandissime aziende che producono contenuti e che impiegano centinaia di scrittori non provenienti da un ambiente pubblicitario. Il loro background è il giornalismo, sono i documentari. Sono scrittori, sono registi. Il modo in cui cresciamo nella pubblicità è diverso. La pubblicità sta reinventando se stessa, e anche i dipartimenti di marketing e le persone del marketing devono reinventarsi.

Il resto è su BIll 12.

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