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HAPPYCENTRO – VERONA
Viaggio in Italia

Non esiste un mondo della pubblicità, non c’è soltanto Milano. Tutta l’Italia comunica. Viaggio in Italia è la rubrica di Billmagazine che bussa alla porta delle agenzie del paese per farsi raccontare cosa succede. Oggi siamo a Verona, ospiti di Happycentro. E in qualche modo anche di Cesare Ragazzi. Leggete e capirete.

D: Parlateci un po’ del vostro studio. Cosa fate, dove siete, quanti siete?

H: Ormai più di dieci anni fa, d’accordo sull’idea che l’epicentro della creatività potesse essere il divertimento, con alcuni amici decidiamo di condividere uno spazio e un progetto. Nel corso degli anni le persone e gli spazi sono cambiati ma il progetto è rimasto sempre lo stesso… e siamo ancora tutti d’accordo! Happycentro ha sede a Verona, la città dove Shakespeare ha ambientato la truculenta vicenda d’amore romantico tra Giulietta e Romeo. Ah, sapevate che il famoso balcone è un falso storico? Risale agli anni ’30. La vicenda conferma il postulato secondo il quale i veronesi son tutti matti, così come i veneziani gran signori, i padovani gran dottori, i vicentini magna gatti. Oggi siamo in 7: 3 art-director/designer, 1 motion designer, 1 fotografo/architetto, 1 tirocinante, 1 amministrativa, ma a parte quest’ultima, i ruoli di tutti sono spesso intercambiabili e sempre più di frequente ci troviamo a passare da una disciplina all’altra senza soluzione di continuità, talvolta studiando, talvolta improvvisando. Non abbiamo uno schema fisso, ma cerchiamo comunque di dividerci il carico di lavoro anche in funzione alle nostre peculiari specialità.

D: Come sono i vostri ritmi di lavoro?

H: Lavoriamo sodo, il nostro è un piccolo studio, un gruppo fatto di individui, ognuno di noi assume di volta in volta un ruolo determinante nello sviluppo di un progetto, di norma seguendolo dall’inizio alla fine. Non rinunciamo mai alla qualità o al raggiungimento della – nostra idea – di qualità. Quando dunque ci vengono imposti tempi stretti, diamo fondo a tutte le nostre risorse per ottenere un risultato che convinca prima di tutto noi. In queste circostanze ricordiamo una formuletta che abbiamo letto chissà quando, chissà dove, che recita: la bellezza è uguale a ordine fratto complessità per sudore al quadrato. Ecco, non sapremmo come sintetizzare meglio il processo che può portare a una certa soddisfazione.

D: Quando vi abbiamo contattati ci avete detto che vi risulta difficile definirvi un’agenzia, perché siete un laboratorio, una bottega. Insomma, un posto in cui ci si sporca le mani. Ora, immaginiamo che stiate cercando un ragazzo giovane che entri a far parte del vostro gruppo. Come lo scegliete? Quali caratteristiche deve avere un happycentrico?

H: Beh sì, è così, Happycentro assomiglia appunto più a un’officina che si occupa della messa a punto di apparecchiature meccaniche. L’approccio può essere sempre lo stesso ma di volta in volta la natura del problema da risolvere è diversa, necessita di essere sentita, bisogna smontare tutto, comprendere alla radice ogni istanza per poterle poi rimontare in una forma altra, tutta nuova. Per fare questo è indispensabile fare parecchi esperimenti, tanto più siamo disposti a prendere in considerazione soluzioni alternative, tanto più efficace e originale potrà risultare l’elaborato finale. Semplificare è sempre un processo complesso. Circa la squadra, diciamo innanzitutto che oggi siamo in perfetto equilibrio tra azzurro e rosa, e Verona è diventata città di adozione, oltre che di nascita. In genere quello che cerchiamo è un’intesa personale sui tempi più disparati del quotidiano, prima che sull’approccio alla progettazione. Qui passiamo un sacco di tempo assieme ed è importante quindi che sia, il più possibile, tempo di qualità.

D: Com’è la vostra sede?

H: Il nostro studio ha sede in quello che fu un centro tricologico Cesare Ragazzi. Talvolta ancora bussano alla nostra porta disorientati figuri con bizzarre capigliature… o ciò che ne rimane. Lo spazio è organizzato come un appartamento: un’ampia “sala macchine”, una sala riunioni, una sala taglia/incolla, un ripostiglio, un bagno e una cucina attrezzata. Nel seminterrato c’è il laboratorio/la sala di posa/magazzino/archivio… in ogni ambiente regna un peculiare disordine che definiamo però organizzato.

D: Dove andate in pausa pranzo?

H: Come dicevamo, il tempo che passiamo in studio è parecchio, necessitiamo quindi di qualche confort. A questo pro disponiamo di una bella cucina, che è tra l’altro spesso teatro di importanti manifestazioni di creatività, soprattutto quando il frigo non offre spunti rassicuranti.

D: Negli ultimi tempi sono nati diversi siti e blog che raccontano il mondo pubblicitario e quello del design. Ma non si va mai oltre Milano, Roma e Torino. Cosa ne pensate?

H: Questa situazione riflette niente di meno la natura del mercato nazionale. Esistono le grandi aziende cosiddette “global”, ma ci sono anche tantissime realtà che animano il tessuto sociale ed economico in ambito “local”. Se alle prime rispondono le multinazionali della pubblicità, le seconde trovano maggiore soddisfazione avvalendosi di professionisti indipendenti, espressione del talento del medesimo territorio, meglio disposti a intendere la progettazione come un processo profondamente condiviso di crescita in prospettiva. Magari diciamo una banalità ma l’impressione è che la provincia abbia saputo esprimere soprattutto il talento del Fare, anche la storia politica del paese ci dice molto in questo senso. La periferia è dunque più impegnata a crearsi situazioni lavorative, in contesti che per loro natura sono appunto lontani dalle grandi centrali economiche e anche per questo, meno visibili. Esiste a nostro avviso un modo alternativo di leggere la situazione; la periferia offre ai progettisti ampi spazi da colmare con soddisfazione, a patto che si sappia cogliere ogni opportunità senza risparmiarsi, cercando di imprimere un po’ della propria personalità in ogni progetto. Ecco che succede, quasi paradossalmente, che nelle grandi città si aprano osservatori su realtà virtuose, quasi fossero forme aliene, forse soprattutto perché appaiono per quello che sono: meno costrette a scendere a compromessi con i dettami dell’advertising prezzolato.

D: Cosa si vede dalla vostra finestra?

H: In questi mesi abbiamo assistito alla demolizione di uno dei tanti EX insediamenti industriali che popolano la zona SUD della città (dove orgogliosamente ha sede il nostro studio… anche se il governo locale guarda decisamente più a nord ;P). Per settimane abbiamo piazzato una macchina fotografica sul nostro balcone, documentando un frammento di mutazione del paesaggio urbano… non sappiamo ancora come, quando e se metteremo mano a questo materiale ma qualcosa ci inventeremo di sicuro, quella dell’archeologia industriale è una materia che ci appassiona parecchio. In senso figurato invece, dalla nostra finestra vediamo un futuro certo (avete letto bene, certo): ancora tanta complessità da mettere in ordine e tanta energia da spendere per farlo, alla ricerca di un equilibrio che ai nostri occhi appaia bello.

D: Ora possiamo salutarci. Fatelo a modo vostro.

H: Federico Galvani: Nano-Nano

Roberto Solieri: Poll-of-Fame!

Federico Padovani: Bom dia

Ilaria Roglieri: Ui-ui-uiiiiiii

Samantha Di Prospero: !pasta all’uevo!

Anna Rodighiero: Squit.

Jessica Bianchetti: 21%

 

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